Il blog di Giovanna Giusti

«Abbecedario d’ Arte»

a cura di Giovanna Giusti.

V come violino dantesco

Immaginavo che le prossime celebrazioni dantesche avrebbero prodotto moltissime iniziative e nuove proposte per omaggiare il grande Alighieri, ma ne ho appena conosciuta una che mi pare meriti di essere divulgata. Leonardo Frigo, un giovane veneto che vive ora a Londra, colto e appassionato di musica, ha messo in atto un progetto davvero singolare: decorare, quasi una sorta di tatuaggi, trentatre violini, ognuno dedicato a un canto dell’Inferno e un violoncello che illustra l’insieme della cantica e la vita del suo autore. La qualità artistica e l’arditezza del progetto, che mira ad esposizioni itineranti, è riscontrabile nelle immagini che vi mostro (FIG. 1-2), osservando le quali è subito evidente che alla base c’è una lunga ricerca e una sapienza elaborativa anche dell’arte di grandi del passato, come Dürer.

Non è certo un progetto improvvisato, giacché è frutto di un sogno, ovvero quello di raccontare la Divina Commedia alle nuove generazioni e portare la cultura italiana all’estero. Tutto ha avuto inizio quando a sei anni la mamma gli ha regalato una Divina Commedia illustrata per bambini, muovendo in lui una passione che è maturata nel tempo. Dopo la laurea in Restauro all’Università Internazionale dell’Arte di Venezia è partito per Londra; ha cominciato ad acquistare prima uno, poi due violini con i suoi risparmi e ad avviare un primo progetto di decorazione dedicato ai sette vizi capitali, dal quale ha preso le mosse poi quello dedicato a Dante. Nel 2021 l’opera sarà conclusa e Leonardo Frigo potrà dar avvio – glielo auguriamo – al viaggio dei suoi violini, che uniscono, cultura, arte, intelligenza e passione.

Giovanna Giusti

E come Eleonora di Toledo

Dipinto nel 1545 dal fiorentino Agnolo Bronzino, pittore della Corte Medicea, questo quadro (FIG. 1) incanta da sempre i visitatori degli Uffizi, non solo per la capacità altissima dell’artista come ritrattista, ma anche per la bellezza della giovane moglie spagnola del Duca Cosimo I de’ Medici, raffigurata qui insieme al figlio secondogenito Giovanni.

Fig. 1  Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Giovanni di Agnolo Bronzino olio su tavola (115×96 cm), 1545. Galleria degli Uffizi. Firenze.

Eleonora  (Donna Leonor Álvarez de Toledo y Osorio; Alba de Tormes, 1522 – Pisa 1562) era figlia del Vicere di Napoli, Don Pedro di Toledo, grande comandante navale e alleato dell’imperatore Carlo V. Il matrimonio con Cosimo, avvenuto nel 1539 quando Eleonora aveva appena diciassette anni e pensato come un rafforzamento della posizione politica del Duca, fu felice, come testimoniano le lettere che la coppia si scriveva; fu coronato dalla nascita di ben undici figli e diversi ritratti dei loro bambini realizzati dal Bronzino sono visibili nella medesima sala del museo (FIG. 2).

Fig. 2

La sontuosità delle stoffe degli abiti di Eleonora e di Giovanni, nonché le strepitose perle e i gioielli che la duchessa indossa in questo quadro, ci rivelano la sua passione per la moda e di come Eleonora introdusse lo stile spagnolo alla Corte fiorentina. Si conosce anche il nome del suo sarto, Agostino da Gubbio, che sicuramente dovette essere molto impegnato. Il broccato damascato dell’abito che Eleonora indossa era molto in voga in Spagna, conosciuto come ‘terciopelo’ e veniva prodotto attraverso un processo di tessitura molto complesso. Anche tra i capelli porta una retina a filo d’oro con perle alla moda spagnola, che sembra promanare una luce perlacea, quasi un’aureola, potenziata dal bellissimo azzurro del fondo, dipinto a lapislazzulo, il colore più costoso, anche più dell’oro. Il risultato è un doppio ritratto ufficiale, dettagliatissimo e sontuoso, che riesce tuttavia a comunicare anche il profondo amore e la protezione di una madre per il figlio. È veramente triste pensare che anni dopo, quando Eleonora era ancora piuttosto giovane, rimase vittima di febbri malariche, che in pochi giorni la portarono alla morte insieme a due dei suoi figli, Garzia e Giovanni.

Giovanna Giusti 22/08/2020

R come Riflesso

Mi piace molto la mattina, ora che sono in pensione e ho la possibilità di trascorrere più tempo a casa, osservare il gioco dei riflessi e le ombre prodotte dal sole che illumina le pareti o gli oggetti. Vado così alla scoperta di nuovi dettagli, quasi misteriosi che affiorano qua e là. Li inseguo con il mutar della luce e studio il susseguirsi di quei frammenti che arricchiscono di una nuova partecipazione gli spazi di casa. Una volta è il merletto di una tenda che proietta segni di sapore orientale su una parete; un’altra volta sono piccole geometrie da una bella ceramica sivigliana (FIG. 1,2), o finestre che girano e mostrano metamorfosi di forme e colori.

Ogni volta una sorpresa, un appostamento, uno svelamento.  E’ il mio modo di rinnovare l’arredo di casa, creando nuove familiarità tra gli oggetti che la abitano, che spesso ospitano opere di amici artisti (FIG.3) o vecchie cose scoperte ai mercatini.

(Fig. 3)

Un gioco fatto di niente …..

Giovanna Giusti 03/08/2020

T come tramonto in città

Ho ritrovato casualmente questa foto scattata una sera d’inverno sull’ora del tramonto. Non importa l’anno, il mese o il giorno. La città è sempre la mia, Firenze; il fiume sempre l’Arno…. Ma il cielo, con i suoi rossi infuocati e variegati, quella sera è caduto letteralmente nelle acque immobili, come si può ben vedere; sembrava quasi che tutto si quietasse per accompagnare quel planare morbido delle nubi rossigne verso il letto del fiume.  E’ riemersa così, alla vista dell’immagine, l’emozione  del momento e insieme il piacere di averlo fermato per riviverlo e ora condividerlo.

Fuori dal chiasso della città, dai luoghi ‘da cartolina’, che pur si stendono e appena si riflettono lontani sulle sponde del fiume, la natura e la misteriosa potenza dell’universo accompagnano ad una visione che sta tra il sogno e la realtà e che potrebbe – perché no? – in qualche modo addolcire le inquietudini con cui conviviamo.

Giovanna Giusti  24/07/2020

I come Iris

Dire IRIS ed evocare il simbolo di Firenze, il fiorino, ma anche Van Gogh o Monet, la pittura giapponese ….. storia, arte, bellezza cercata e ricreata (FIG.1).

Da una settimana sono iscritta al Giardino dell’iris. E’ un posto incantevole, in collina, in prossimità del Piazzale Michelangelo, tappa obbligata per chi visiti Firenze, con un panorama ‘grandioso’ verso la città e le dolci colline d’intorno. Inaugurato nel 1957, dal 1959 in questo giardino, unico al mondo nel suo genere, si svolge a maggio un concorso internazionale indetto dal Comune di Firenze. Quasi improvvisamente si colora di ogni sfumatura, anche le più azzardate e impensabili. La magia si ripete di anno in anno; anche in questo difficile momento di chiusura per il Covid, con tutte le precauzioni, il giardino ha mantenuto il suo impegno e rigoglioso come non mai, tra olivi e laghetti, ha esibito i suoi tesori. Una giuria internazionale decreta il vincitore e un nuovo nome. Pensate che i rizomi vengono inviati a Firenze da coltivatori di tutto il mondo da giugno a settembre di ogni anno e vengono messi a dimora per tre anni nel giardino prima di essere giudicati dalla giuria internazionale. Al vincitore viene assegnato un fiorino d’oro mentre un premio speciale va all’iris rosso che più si avvicina a quello rosso in campo bianco che figura nel gonfalone della città invertiti (FIG. n.2).

Vale la pena ricordare che l’iris fiorentina, di colore bianco come il ghiaccio, ai tempi della Repubblica, veniva chiamata ‘ghiacciolo’, da cui pare derivare il comune nome di ‘giaggiolo’e figurava nel Gonfalone in campo rosso. Tuttavia nel 1266/67 i colori furono invertiti come Dante Alighieri fa dire all’avo Cacciaguida nel Canto XV del Paradiso“… tanto che l’giglio non era […] per division fatto vermiglio” (“per divisioni interne non era ancora diventato rosso”).

Si rinnova così un piacere atteso e goduto fin da giovane, condiviso anche da Nada, la carissima mamma della Presidente de LADANTEVIGO, la nostra Daniela, a cui dedico questo iris

Giovanna Giusti 07/07/2020

G come Giovanna Garzoni

Da tempo mi occupo di donne artiste, un settore di ricerca che può offrire tante sorprese, anche interessanti scoperte, per far tornare visibili artiste ingiustamente dimenticate. Per questo mi ha fatto molto piacere vedere pochi giorni fa, a palazzo Pitti, una piccola ma deliziosa mostra dedicata a Giovanna Garzoni (Ascoli Piceno 1600 – Roma 1670), bravissima illustratrice di fiori, frutta, oggetti esotici. Le sue miniature su pergamena erano molto apprezzate alla Corte medicea. In questo ritratto (FIG.1) la vediamo ormai anziana, in una veste severa, mentre mostra un ritrattino, probabilmente un suo autoritratto da giovane.

FIG. 1, Carlo Maratta, Ritratto di Giovanna Garzoni, olio su tela, Pinacoteca Civica, Ascoli Piceno

La sua abilità straordinaria è testimoniata da una cospicua serie di quadri con ogni specie di frutti e fiori multicolori tra i quali trovano posto animaletti strani riproposti con attenzione scientifica, che riusciva a dipingere con l’aiuto di potenti lenti d’ingrandimento e con l’”occhialino galileiano”. In mostra è stata ricostruita anche una piccola camera delle meraviglie che la granduchessa Vittoria della Rovere, sposa di Ferdinando II de’ Medici, aveva arredato nella villa medicea di Poggio Imperiale a Firenze con le opere della Garzoni – ne sono esposte ben 20 delle 38 dipinte per quell’ambiente fascinoso –  e con rarissimi e preziosi oggetti delle collezioni medicee, vasi cinesi, nautili dell’Oceano Pacifico, avori, bronzetti, tutti oggetti ammirati per bellezza, rarità e curiosità. E’ stato rievocato anche un affresco perduto di Vincenzo e Pier Dandini in cui era ritratta in veste di Aurora la granduchessa che alla guida del carro risvegliava, cacciando la notte, fiori, frutti, animali. (FIG.2-3-4-5-6).

Si rimane affascinati dal trionfo del colore e dalla raffinatezza, dall’amore per l’arte che la piccola ma pregevole esposizione celebra, dando luce ad un’artista quasi sconosciuta, ma che il gusto sapiente dei Medici aveva ben saputo apprezzare. Aveva viaggiato tra varie Corti, da Torino a Napoli, soggiornando per un decennio a Firenze e trascorrendo gli ultimi anni a Roma dove era stata nominata Accademica alla prestigiosissima Accademia di San Luca, che l’aveva anche onorata di un monumento funebre in ringraziamento di un lascito importante di beni e di opere che Giovanna aveva destinato all’Accademia.

Giovanna Giusti 01/07/2020

F come Finestrini del vino

Oggi vorrei farvi conoscere una’chicca’ fiorentina, ovvero delle piccole aperture che affiancano molti palazzi in città, che incuriosiscono per l’originario uso ma utilizzate oggi per altro. Sono i ‘finestrini’ o ‘buchette’, che fin dal 1532, anno del rientro al potere della famiglia Medici, dopo la caduta della Repubblica, risposero alla necessità dei proprietari di grandi vigneti di vendere direttamente il vino in ‘fiaschi’

proprio attraverso le piccole finestrelle a fianco del portone principale delle loro case in città. Alcune erano completate da scritte che indicavano gli orari della vendita:

Altre riproponevano in miniatura le decorazioni dei palazzi:

Una, rimasta molto simile all’originale, affianca l’imponente portone di palazzo Mellini-Fossi, affrescato nel 1575 su disegni di Francesco Salviati con storie mitologiche tratte dalle Metamorfosi di Ovidio:

I finestrini furono utilizzati fino alla fine del 1800, poi molti vennero murati o distrutti dai bombardamenti delle guerre o dall’alluvione, ma anche dall’incuranza degli uomini. Oggi ne sono sopravvissuti circa 170. Spesso sono riutilizzati, come pulsantiere di campanelli o per ospitare qualche piccola immagine di ‘street-art’:

Alcuni nel tempo erano stati riconvertiti ad accogliere le ‘elemosine’:

Sono tutte pagine della storia sociale cittadina e un decoro urbano che merita di essere rispettato e conservato.

Giovanna Giusti 15/06/2020

T come Tiziano a confronto

Sono rimasta molto colpita dal bellissimo video realizzato dal Museo Nazionale del Prado che, in occasione della riapertura dei musei italiani, ha messo a confronto opere conservate tra Spagna e Italia. Si tratta di un’altra opportunità che la comunità della cultura, molto attiva in questi mesi di chiusura, ci ha regalato, aiutandoci con intelligenza e generosità a riflettere sul valore e la bellezza del patrimonio d’arte internazionale. Allora ho scelto due opere di Tiziano, anche pensando al coinvolgimento familiare … avendo un ‘Tiziano per marito’! Il soggetto è Venere, una conservata a Firenze (FIG 1)

FIG. 1 Tiziano, Venere di Urbino, 1537-1538, olio su tela, cm 119×145, Galleria degli Uffizi, Firenze

e l’altra a Madrid (FIG 2).

FIG. 2  Tiziano Venere con organista e Cupido, 1550-1551 circa, olio su tela, cm 148×217, Museo Nazionale del Prado, Madrid

Il tema della seduzione è esplicito in entrambe le opere. La giovane dea, bellissima nel candore del morbido corpo nudo, è adorna di gioielli, tra i quali non mancano le perle a esaltare la sua castità, mentre il piccolo cane simboleggia la sua fedeltà coniugale. L’una volge lo sguardo al tenero figlio Cupido mentre l’organista, in cui è ritratto il re Filippo II che conservava il dipinto nei suoi appartamenti privati, è attratto e sedotto dalla bellezza sensuale di Venere. L’altra, invitante, si offre direttamente a chi quel quadro lo ha voluto e lo ammirerà, ovvero Guidubaldo Della Rovere, futuro duca di Urbino, che probabilmente aveva dedicato questo quadro alla giovanissima moglie. Sul fondo della tela ‘fiorentina’ una pianta di mirto, simbolo dell’amore eterno e due donne intente ad estrarre dal cassone le vesti per la bella signora; nel quadro ‘madrileno’una coppia di innamorati e dei cerbiatti impegnati in un combattimento amoroso sottolineano l’inno all’amore. Insomma, richiami, confronti, coinvolgimenti che l’arte altissima di Tiziano ci regala oltre ogni confine.

Giovanna Giusti 04/06/2020

R come Raffaello

Riapre, finalmente, la bellissima mostra dedicata a Raffaello nella ricorrenza del cinquecentenario della sua morte, avvenuta il 6 aprile (stesso giorno e mese della nascita) del 1520. Le Scuderie del Quirinale, sede dell’esposizione a Roma, avevano appena aperto le porte ai visitatori quando il dilagare del virus aveva costretto alla chiusura, ma si era tenuta alta l’attenzione offrendo straordinarie visite videoregistrate, per un godimento privilegiato, senza l’inevitabile confusione del pubblico. Il ‘divino’Raffaello, pianto, ammirato, studiato e fonte d’ispirazione fino ai giorni nostri, merita di essere ricordato e lodato per aver segnato la sua arte di eleganza, modernità e invenzione, ma guardando con rispetto, quasi con venerazione, alla classicità. Eleganza e semplicità sono percepibili anche nella sua figura, in quel celebre Autoritratto, conservato agli Uffizi (FIG.1), da cui vorrei partire, dedicando a questo mirabile artista qualcuno dei nostri appuntamenti.

Fig 1. Autoritratto – Raffaello Sanzio ( Urbino 1483 – Roma 1420 )
olio su tavola – cm. 47.3 x 34.8 – Sala 35, Galleria degli Uffizi – Firenze

Una sorta di pacata malinconia pervade il volto del giovane Raffaello, che indossa una berretta nera, come la veste da cui affiora appena il bordo della bianca camicia. Tutto si concentra sull’espressione, in quel mostrarsi di tre quarti su un fondale illuminato, su cui si posa la sua ombra. Niente più …. Ma è una pittura meditata, sotto cui è stato rintracciato il disegno accurato attraverso cui il pittore si è studiato con attenzione. Era di bell’aspetto Raffaello, ma qui si presenta senza compiacimento, con la sua capacità di porre tutto in ordinato equilibrio, anche i sentimenti. L’Autoritratto fu eseguito forse durante il soggiorno fiorentino, tra il 1504 e il 1506, quando le più ricche e colte famiglie se lo contendevano per avere una delle sue Madonne o un bel ritratto. Lavorò molto in quegli anni e lo testimoniano le tantissime sue opere che ancora sono a Firenze, agli Uffizi e a palazzo Pitti, dove si può ammirare la maggior concentrazione di sue opere, tra pittura e disegno. Se il mito di Raffaello non tramonta lo si deve anche a come, ancora oggi, gli artisti contemporanei guardino a lui come stimolo a nuove riflessioni. Anche questo artista tedesco, Roland Schauls, (FIG.2) concentrando la sua attenzione sul senso dell’autoritrarsi non poteva non rendergli omaggio riflettendo, nel 2004, proprio su quel fine equilibrio tra fisicità e interiorità che scopriamo nell’effigie del grande Raffaello.

Fig.2 Roland Schauls

E non vi nascondo che uno sguardo quotidiano rivolto a questa rielaborazione moderna, appesa su una parete in casa mia, è in grado di regalarmi momenti di serenità ….

Giovanna Giusti 21/05/2020

A come Aria di Tomás Saraceno

La sera dell’inaugurazione della mostra dell’artista-architetto argentino Tomás Saraceno, allestita a Firenze nelle ‘ariose’ sale rinascimentali di palazzo Strozzi (ideato da Giuliano Sangallo e realizzato da Simone del Pollaiolo), come sempre ero lì, per conoscere la nuova proposta di arte contemporanea, che si alterna opportunamente alle mostre di arte ‘antica’. Dopo pochi giorni, come tutti i musei, sarebbe stata chiusa e avrebbe continuato a trasmettere virtualmente una diversa offerta culturale. Saraceno, artista visionario e razionale, ha espresso il suo dialogo tra Rinascimento e contemporaneità con opere immersive, cioè che inducono chi le vede a partecipare, sia nel cortile che nelle sale del primo piano, dove ha posizionato installazioni e metafore del cosmo, dove l’opera non ha più solo un valore estetico ma vive con chi la guarda e vi si riflette. Le sfere, (FIG. 1-2) fluttuanti nell’aria in sintonia con i ritmi planetari, senza emissioni di carbonio, inducono a meditare sui flussi umani e sulle politiche che incidono su una umanità fragile, vulnerabile, in movimento.

FIG. 1. Sfere di Tomás Saraceno nel Cortile di Palazzo Strozzi
FIG. 2 – Sfere  e riflessi, mentre scatto una foto in mostra

Saraceno ci invita a considerare la nostra interconnessione con tutte le cose, fino a progettare, forte anche delle esperienze fatte al famoso centro americano NASA,  la realizzazione di un ‘Museo Aereo Solar’ per trasformare i sacchetti di plastica usati in una grande mongolfiera che si libera nell’aria. Anche delle ragnatele  (FIG. 3), illuminate dal basso in ambienti oscurati, Saraceno si serve per immergerci in un nuovo ecosistema, con quei filamenti intrecciati che formano disegni misteriosi e affascinanti. Quante ne vediamo nelle nostre case e come c’incantano quei sottilissimi fili leggeri che si legano al nostro habitat e rivelano l’interconnessione con noi umani. E Saraceno è pronto a carpirne anche i suoni, quasi un linguaggio; lo fa con spirito giocoso ma con una cura scientifica e metodica.

 FIG. 3 Ragnatele

Speriamo davvero anche all’aria, elemento vitale, ferita da irresponsabili pratiche dell’uomo, sia consentito tornare a ‘riprender respiro’!. Impegniamoci nelle nostre pratiche quotidiane, questo ci suggerisce la proposta artistica di Saraceno, per offrire il nostro pur minimo contributo alla migliore resurrezione della natura! (FIG.4)

FIG. 4  Biosfere

Giovanna Giusti 06/05/2020

V come Venere

Nascerà una nuova humanitas da questo difficile momento che tutti stiamo vivendo? A questo probabilmente tendeva il soggetto di questo quadro così ammirato di Sandro Botticelli, esposto, con tante altre opere del medesimo artista a Firenze, alla Galleria degli Uffizi (Fig. 1)

(FIG. 1: Sandro Botticelli, La nascita di Venere, tempera su tela, 1485/86, Uffizi.

Era stata dipinta per Giovanni e Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici e si trovava, insieme alla famosissima ‘Primavera’, nella Villa Medicea di Castello, nelle vicinanze di Firenze.

Un’ansia spirituale pervade l’arrivo della dea, bellissima, all’isola di Cipro, sospinta dai venti, Eolo e Aura, impetuoso l’uno,  complice l’altra. L’accoglie, con quel morbido mantello svolazzante l’Ora della primavera; l’abito e il mantello sembrano prati fioriti che segnano proprio il rigoglio della natura nella bella stagione primaverile. La brezza dei venti muove i lunghi capelli della dea, le rose svolazzano lievi in una beatitudine di tutto il creato a cui partecipano le onde del mare, appena increspate, con una quasi continuità di pallidi azzurro/verdi che confondono mare e cielo. Tutto, foglie, capelli, fiori, ali dei venti, brilla dell’oro che Botticelli, con sottile abilità, ha profuso ovunque, ma senza abbagliare, con meditata leggerezza.

E poi …. la dea, poggiando su una grande conchiglia, nuda, pura e sincera, eccola, viene a manifestare l’unione  tra spirito e materia, evocando forse anche una spiritualità mistico-religiosa, quasi una nascita dell’anima dall’acqua battesimale (come aveva suggerito un grande storico dell’arte, Carlo Argan).

La grandezza di Botticelli si rivela anche in quella sua tipica capacità di disegnare le figure con un ritmo lineare, dove ogni elemento è in perfetto equilibrio e contribuisce a dare questo senso di pacata serenità che è tra i valori più apprezzati dell’opera. E infine, dopo il piccolo video, in cui ho mostrato il mio puzzle col medesimo soggetto in via di realizzazione, pezzettino dopo pezzettino, posso con orgoglio mostrarvi anche il lavoro compiuto! (Fig. 2)

FIG.2: Puzzle finito.

I colori sono tanto diversi …. ma credetemi, ricostruire lentamente questa meravigliosa armonia d’insieme è stato come affiancare Botticelli mentre dipingeva, pennellata dopo pennellata….

Giovanna Giusti 01/05/2020

F come Francesca, P come Paolo e D come Dante

Lo scorso 25 marzo – la data che tradizionalmente segna l’inizio del viaggio di Dante nella Commedia – è stato proclamato dal Ministero per i Beni Culturali il DANTEDÌ; anche LADANTEVIGO  ha partecipato ad una lettura corale di alcuni versi tratti dal Canto V dell’Inferno di Dante, con l’invito espresso dai lettori a ‘STARE A CASA’. I versi erano intonati all’amore di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, collocati da Dante tra i lussuriosi e trascinati da un vento inarrestabile. Questi due spiriti  che volano uniti, contrariamente a tutti gli altri, incuriosiscono Dante, che ascoltando le parole di Francesca, il suo tradimento con il cognato Paolo e come il marito uccise la coppia di amanti, ne è profondamente colpito al punto da perdere i sensi e cadere a terra vicino alla sua guida, Virgilio. Questo sappiamo da Dante, espresso con versi di altissima poesia. Questo possiamo ammirare in una bella e grande tela di un artista toscano, Nicola Monti (Pistoia 1780 – Cortona 1864), Francesca da Rimini nell’Inferno dantesco, dipinta nel 1810 (FIG.1), appena acquistata dalla Galleria degli Uffizi, nota in tutto il mondo per i capolavori che conserva.

(FIG 1) Nicola Monti, Francesca da Rimini nell’Inferno dantesco, 1810, olio su tela, 168×210, Gallerie degli Uffizi, Firenze

È dunque l’omaggio reso all’Alighieri dagli Uffizi, che possono anche vantare all’interno delle Collezioni molte opere, ritratti e soggetti vari, che nel corso dei secoli gli artisti hanno a lui dedicato. Questo nuovo arrivo al museo è per me anche motivo di particolare soddisfazione e orgoglio perché agli Uffizi ho trascorso tutta la mia vita lavorativa e nel rallegrarmi per questo nuovo tributo al grande Dante lo avverto come l’arrivo di un nuovo ‘figliolino’…

Giovanna Giusti 07/04/2020

B come Brunelleschi e D come Dante Alighieri

Dell’architetto (ma anche artista e ingegnere) fiorentino Filippo Brunelleschi (1377 – 1446) un’opera sta sopra tutte le sue altre, e non solo per la sua collocazione: la famosissima cupola della cattedrale di Firenze, esempio insuperato di progettazione rinascimentale, avviata proprio dal Brunelleschi. La rossa cupola svetta elegante e armoniosa nel panorama dei tanti edifici storici della città e si mostra da sempre come il punto di riferimento religioso e culturale di Firenze e della Toscana. Nel progetto e nella realizzazione, durata dal 1420 al 1436, Brunelleschi mise in campo tutta la sua genialità, arditezza e tenacia, concependo una cupola grandissima a doppia calotta, con camminamenti nell’intercapedine ed edificandola con impalcature autoportanti. Fu una vera sfida a cui si era tuttavia preparato molto bene. E’ straordinario poter oggi vedere nel Museo dell’Opera del Duomo i modelli lignei e i macchinari che servirono per presentare il progetto e realizzare la costruzione!

Fig 1: Giovanni Giusti, Guardando la cupola, 2016, acrilico su tela, collezione dell’artista

Ve la presento con un’opera (FIG. 1.) di mio fratello Giovanni, artista e architetto, che attraverso una finestra immaginaria – elemento ricorrente nei suoi dipinti – e inserendola tra diversi piani architettonici fa apparire la nostra bella cupola, così satura di colore nel cielo azzurro della nostra città.

Fig 2: Domenico di Michelino, Dante e la Divina Commedia, 1465, affresco staccato, S.Maria del Fiore, Firenze

Ma ve la presento anche con un dipinto (FIG. 2. ) esposto nella navata sinistra della cattedrale fiorentina. Vi compare il nostro grande poeta, il DANTE che viene celebrato il 25 marzo con il DANTEDI’, mentre mostra la sua Divina Commedia tra i tre mondi ultraterreni da lui descritti.  Alle sue spalle una veduta della città di Firenze, tra cui spicca proprio la cupola brunelleschiana, circondata dalle antiche mura e dalle alte porte d’ingresso. Quale miglior immagine per ricordare Dante e Brunelleschi?

Giovanna Giusti 25/03/2020

Ancora A come Abbecedario dolce

Sì, ancora A, perché questo Abbecedario d’Arte salta di qua e di là. Questa volta sarà un Abbecedario dolce. L’ho costruito per voi … e poi mangiato naturalmente. Sono i ‘Quaresimali’, piccoli biscottini al cacao in forma di lettere dell’alfabeto italiano, che vengono prodotti in Toscana durante la Quaresima, ovvero i 40 giorni che precedono la Pasqua. L’assenza di grassi e di uova, con solo una spolverata di cacao, ha dato credito alla tradizione che indica l’origine in un convento di suore situato tra Prato e Firenze nel sec. XIX. Il piccolo peccato di gola veniva bilanciato dall’uso delle lettere dell’alfabeto che volevano riferirsi ai testi sacri. Mah … chissà … Vi assicuro però che sono gustosissimi, croccanti e belli. Una piccola opera d’arte in regalo virtuale per voi!

Giovanna Giusti 19/03/2020

C come Corona Granducale Medicea

Vogliamo spostare un poco l’attenzione dal Coronavirus ad un altro tipo di corona? Ce ne offre occasione l’esposizione in Palazzo Vecchio a Firenze della magnifica corona granducale medicea, che insieme al prezioso collare e allo scettro, tutti e tre simboli del potere mediceo, sono stati realizzati da un bravissimo orafo fiorentino.

È una operazione molto importante e ben riuscita grazie alla maestria della bottega orafa di Paolo Penko, che dimostra come si possa oggi ancora riproporre, con le tecniche originali, manufatti di grande qualità e bellezza. Per essere precisi non sono queste delle vere riproduzioni, poiché gli originali sono andati perduti; sono delle magnifiche creazioni artigianali eseguite sulla base di complesse ricerche condotte su alcuni ritratti del Granduca Cosimo de’ Medici.

Giovan Battista Naldini, Ritratto di Cosimo I de’ Medici,  1585, Uffizi)

La corona ha 19 punte, alternate in argento e oro con pietre e vari elementi decorativi; al centro fiorisce il Giglio fiorentino, smaltato in rosso con lumeggiature dorate. Sotto si trovano perline e un fregio di dentelli con perle e ovuli smaltati, mentre nella fascia centrale la scritta documenta che fu il Papa Pio V a incoronare Granduca Cosimo per lo zelo nei confronti della religione cattolica e per il particolarissimo amore della giustizia. Al centro della fascia spicca un cammeo in calcedonio sul quale è intagliata la personificazione del fiume Arno. Ricordate il fiume che bagna Firenze di cui vi ho parlato la scorza volta? L’arte circola sotto varie forme, come vedete e come vedrete ….

Giovanna Giusti 14/03/2020

A come Arno

L’Arno è il fiume che scorre nella mia Firenze. Scelgo questa presenza così importante per la città per avviare un frequente contatto (ogni dieci giorni), che avverto come un flusso benefico su cui far scorrere parole e curiosità d’arte. Dunque l’Arno! Chi non conosce il più famoso dei suoi ponti? Il Ponte Vecchio. Ha resistito a tante alluvioni ed è stato risparmiato – l’unico – dalle mine tedesche durante la seconda guerra mondiale. Ora sciami di turisti passeggiano su entrambe le rive del fiume – di qua e di là d’Arno diciamo noi – animando di lingue diverse la Firenze internazionale. Ma l’Arno, che ancora temiamo quando ‘si gonfia’ nei mesi autunnali e che divide due parti distinte della città – quella artistica e quella artigianale -,  è stato essenziale in passato per le attività commerciali delle terre che attraversa: vi si lavavano i panni, non solo quelli di casa ma soprattutto lane e sete famose nel mondo per la loro bellezza e qualità; lo si poteva in buona parte navigare, vi si trasportavano legname ed altri materiali, i renaioli ne cavavano la rena utile alle costruzioni e molto altro ancora.

Fig. 1 Giovanni Signorini, Veduta di Firenze, 1850 circa, Fondazione Cassa di Risparmio, Firenze.

Nel periodo di Carnevale, nelle giornate di sole, ancora oggi i lungarni si affollano di belle mascherine e risuonano delle voci gioiose dei bimbi, come amavo fare con Giulia, mia figlia, piccina, condividendo coriandoli e allegria. L’immagine che vi mostro raffigura la Torre della Zecca, prospiciente l’Arno, che chiudeva a est le mura cittadine prima che venissero abbattute  nella seconda metà dell’800, per rendere Firenze – capitale d’Italia dal 1865 al 1870 – degna del confronto con le capitali europee.

Fig 2 Torre della Zecca

Guardate la sua posizione originale.

Fig.3 F.Borbottoni, Veduta della Zecca Vecchia

E guardate la targa che vi è apposta ora cosa recita: (FIG 4: “Per mezza Toscana si spazia un fiumicel che nasce in Falterona,/ e cento miglia di corso nol sazia” (Dante, Purgatorio, IX, 16-18).

L’Arno infatti nasce sul monte Falterona, nell’Appennino Tosco Emiliano e credetemi, quando ne ho visto la sorgente sono rimasta molto delusa, tanto minima – un fiumicel scrive Dante – è la sua portata d’acqua, almeno nel periodo estivo ….. E con le parole del grande Dante Alighieri, ricordando che anche un altro grande scrittore italiano, Alessandro Manzoni, aveva voluto ‘sciacquare i panni in Arno’, ovvero rivedere l’italiano del suo famoso romanzo – I Promessi Sposi –  riferendosi alla lingua corretta che si parlava a Firenze, vi aspetto al prossimo appuntamento e vi saluto con un omaggio floreale.

Fig. 5 Firenze con camelie

Giovanna Giusti 14/03/2020

D come DONNA, V come VIOLENZA, C come CONTRO

Oggi, 25 novembre 2020, giorno dedicato a tener vivo l’impegno per combattere la violenza contro le donne, leggo, tra le ultime notizie, che questa notte altre due femminicidi sono avvenuti in città italiane. Ma sappiamo bene che la violenza fisica, terribile, e psicologica, altrettanto terribile e subdola, di cui sono oggetto tantissime donne, anche in ambienti insospettabili, è purtroppo una dinamica che non ha confini nazionali e coinvolge le donne di tutto il mondo. Il Covid ha dato un ulteriore contributo, favorendo ancora di più il manifestarsi della violenza in ambito familiare, con il permanere forzato proprio negli ambienti dove spesso le violenze si consumano, protette dalle porte chiuse di casa. Accendere l’attenzione con iniziative, con il lavoro continuo, con l’educazione dei nostri giovani, per smantellare pregiudizi e debolezze inconsce che proprio nella violenza trovano una via d’espressione e rivalsa, sono operazioni che ci devono vedere sempre coinvolti, ognuno come può. Vigili, attenti, sensibili, con normative e aiuti concreti che proteggano e consentano di sradicare questo male sociale e di costume.

L’attenzione a prender posizione contro queste violenze, quando viene dagli uomini che si affiancano alle donne per i giusti diritti di rispetto (non di galanteria ….), certo ci fa piacere ma nello stesso tempo ci porta a riflettere come dovrebbe essere naturale una convivenza sempre paritaria, in ogni forma del nostro vivere sociale. E invece ….

Ho accolto oggi con rispetto e gratitudine anche il contributo che mi è giunto dal pensiero pittorico di mio fratello Giovanni (FIG. 1), che ama sempre fermare in istantanee creative il suo essere dalla parte dei diritti delle donne.

Fig 1: Giovanni Giusti, Contro, 2020

E poi tante immagini, riflessioni ed esortazioni sono giunte da donne e uomini consapevoli. Tantissime. Il cellulare ha suonato di ripetuti messaggi. Ogni voce un pensiero, un contributo diverso, per manifestare il bisogno di far comunità. Tra i tanti ho ricevuto anche un video molto ben fatto, che una giovane operatrice museale degli Uffizi ha dedicato ad un celebre quadro di Artemisia Gentileschi (FIG. n. 2)  che è stato al momento prestato alla National Gallery di Londra per far parte di una importante mostra, che prende spunto da una nuova opera di Artemisia acquisita recentemente dal museo londinese.

Fig 2: Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne, 1620, Firenze, Uffizi

Vi invito ad aprire questi due link. Vi sveleranno, attraverso il linguaggio comunicativo dell’arte, il mondo sommerso di violenze (lo stupro di Artemisia ad opera di un artista collaboratore del padre Orazio Gentileschi, il processo, la condanna dello stupratore, il matrimonio combinato ecc ecc.) ma anche la volitiva capacità di questa talentuosa artista che ha saputo raccontare attraverso la sua arte il male subito e l’indubitabile consapevolezza del suo valore.

Giovanna Giusti. 25/11/2020

M come Giovanni Michelucci, architetto del mondo

Adesso si usa definire Archistar un architetto che realizza progetti che lo consacrano alla fama, ma questo grandissimo architetto – Giovanni Michelucci (Pistoia 1891 – Fiesole 1990) -, che ci ha lasciati quando stava per compiere cento anni – e’ davvero una pietra miliare nella storia dell’architettura del Novecento.

Uno dei tanti bellissimi suoi progetti, segnati da purezza di linee,  innovazione e rispetto dei materiali, è la Chiesa di San Giovanni Battista, detta «dell’Autostrada» alla periferia di Firenze, costruita tra il 1960 e il 1964 e dedicata ai caduti sul lavoro durante la costruzione dell’Autostrada del Sole.

Mi sono reso conto che una tale costruzione – disse quando accettò dalla Società Autostrade l’incarico – avrebbe potuto costituire, per se stessa, un luogo d’incontro tra uomini di ogni paese quando, provenuti da ogni parte del continente, percorse le nostre autostrade, sostano per una tappa quasi sempre inevitabile e necessaria, a Firenze

Colpisce i viaggiatori, oggi ancora,  per la poetica visione che trasmette, per il tetto verderame che pare di muschio, per la scelta di materiali che si fondono con la  morbidezza delle linee ed esaltano la bellezza dei colori della natura, per la luce che all’interno accompagna il fedele, immerso in uno spazio amico.

Oggi tuttavia voglio condividere una lettura, che mi regala sempre grande emozione, estratta da una raccolta di scritti di Giovanni Michelucci (Dove si incontrano gli angeli. Pensieri, fiabe e sogni, Firenze 2000).

Ho scelto un testo dedicato alla Bellezza, che leggo, consegnando alle parole le suggestioni che sempre accompagnano queste immagini e pensieri poetici.

Giovanna Giusti. 29/11/2020

L come Letterina e N come Natale

Un flash porta alla memoria il Natale visto con occhi di bimba, quando veniva seguito un ‘copione’, rinnovato anno dopo anno e condiviso secondo abitudini familiari.

L’attesa del Natale era ricca di preparativi amati più della festa; tra i più attesi c’era il rito della letterina ai genitori, ai nonni, con parole suggerite, di educata confidenza, scritta prima ‘in brutta’ e poi ‘in bella’ con le medesime promesse, che si ripetevano di anno in anno … e non a Babbo Natale, perché i doni arrivavano dalla Befana. Conservo quelle paginette, insieme alle altre scritte dal mio babbo piccino, piene di lustrini e buoni propositi. Non le ho ora con me e quindi ricorro ad alcune letterine trovate nel web, equivalenti più o meno a quelle della mia fanciullezza. Ognuna è una piccola opera d’arte!

Altro rito era la ricerca con la mamma di un nuovo decoro per l’albero di Natale, frondoso, carico di addobbi luccicanti, di candeline e luci, altissimo, ma a me piaceva molto anche la preparazione della ‘capannuccia’, ovvero del presepe, che impegnava tutta la famiglia e creare il paesaggio, l’illusione dell’acqua, animando la scena con personaggi e animali anche non pertinenti, ma molto divertenti.  

Sdrucciola la memoria su quelle piccole ‘gioie’, rinvigorita ora dalla mia nipotina Ada, che vive nella stupenda Siviglia, e a due anni e mezzo ha già messo mano alla sua tenera letterina, chiedendo a Los Reyes una cucina …. in cui il linguaggio dell’immagine è vincente …

Ma vorrei cogliere l’occasione della letterina di Natale per ringraziare i tanti studenti del professor José Antonio Ramos Escudero per le parole gentili e per l’ottima conoscenza della lingua italiana con cui tutti si sono espressi, proponendo anche nuovi argomenti, che non mancherò di trattare.

La letterina in questo caso è indirizzata a: Malò Vila Rodríguez, María Cruz Martínez Vilas; Gabriela Romani; Alvaro de Torres; Andrea Cerdeira; Carla Vidal; Eva Chapela; Isabel Fernández Hermida; Magdalena Mariño; María Rodríguez Otero; María F..

A tutti, insieme alla cara Presidente della DanteVigo, Daniela Sarraino e a José Antonio Ramos Escudero, auguro un sereno Natale

 Giovanna Giusti 21/12/2020

Z come Zuccari Federico, D come Dante e H come Historiato

Appena iniziato questo 2021, che ci auguriamo portatore di cose buone e belle, agli Uffizi si è inaugurata una mostra virtuale dedicata all’Alighieri, come contributo alla celebrazione del settimo centenario dalla morte del grande poeta. Si tratta di una proposta interessante perché il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, che conserva una delle più prestigiose raccolte di disegni al mondo, consente di rendere visibili nel web, digitalizzati, gli 88 disegni che illustrano la Divina Commedia con i commenti autografi dello Zuccari. Questi disegni erano stati donati nel 1738 dall’Elettrice Palatina, Anna Maria Luisa de’ Medici, insieme a tutti i tesori d’arte collezionati dalla sua famiglia, destinati un anno prima alla città di Firenze, dal momento che la dinastia medicea, senza eredi, era destinata all’estinzione. I bellissimi fogli erano rilegati in un unico volume e recavano, per ognuno di essi, a fianco, il commento dell’artista, che ora è ugualmente leggibile nella mostra on-line .

Vedrete, appassionandovi spero a questi bei disegni, come anche tecnicamente lo Zuccari abbia scelto modalità diverse per distinguere le tre cantiche, usando la matita rossa e nera per evocare ‘il doloroso regno’ dell’Inferno; la penna e l’inchiostro acquerellato creando chiaroscuro per il Purgatorio e infine la matita rossa per la luce e la serenità del Paradiso.

Federico Zuccari (1540 – 1609), molto ricordato a Firenze per gli affreschi nella cupola del Duomo che aveva completato alla morte di Giorgio Vasari, come anche il fratello Taddeo, non è tuttavia tra gli artisti del tardo manierismo italiano più internazionalmente conosciuti. Godeva invece in vita di una notevole notorietà, avendo viaggiato molto e avendo avuto anche l’apprezzamento del re di Spagna, Filippo II, che lo aveva invitato a decorare la chiesa dell’Escorial. Proprio al tempo del suo soggiorno spagnolo, dal 1585 al 1588, Federico realizzò il suo originale lavoro dedicato alla Commedia dantesca.

In questo bel ritratto, realizzato da una eccellente artista, Fede Galizia (parleremo tra breve anche di meritevoli ma dimenticate artiste donne!), lo vediamo indossare con orgoglio ben tre catene d’oro con altrettante medaglie, una con il leone di San Marco, emblema della Repubblica di Venezia, una con il ritratto di Carlo Borromeo e una con il ritratto del re Filippo II, che aveva concesso al pittore il titolo di cavaliere e una notevole rendita

(FIG. 1, Fede Galizia, Ritratto di Federico Zuccari, 1604, Uffizi, Firenze).

Il quadro è bello e importante, probabilmente eseguito durante un soggiorno dello Zuccari a Milano, era entrato a far parte della Collezione di autoritratti del cardinale Leopoldo de’ Medici (1613 – 1675) proprio come autoritratto di Federico Zuccari, ma è stato riconosciuto di mano dell’artista lombarda Fede Galizia, grazie alla firma e alla data sul retro del dipinto che sono state rintracciate solo nel 1979.

Come le tre catene … sono tante storie che s’intrecciano nel racconto dell’arte ….

Giovanna Giusti 12/01/2021

S come Street Art

Ormai da più di un ventennio siamo entrati in confidenza, anche in Europa, con quella particolare espressione artistica conosciuta come Street Art ovvero ‘Arte di strada’. Dopo le innovative provocazioni di artisti americani a partire dagli anni Settanta del XX secolo (John Feckner, Keith Haring, Jean-Michel Basquiat i più conosciuti) che inondavano di messaggi di contenuto politico e sociale a pray edifici di strade metropolitane, molti altri artisti hanno individuato nello spazio pubblico – strade, stazioni, muri – il loro terreno di contestazione e di comunicazione, esponendosi anche ad azioni ritenute illegali. Fuori da gallerie e da spazi musealizzati si pratica un diverso modo di esprimersi, sia per le tecniche che per i contenuti, guadagnando l’attenzione di un vastissimo pubblico per lo più giovane. Chi non conosce Bansky, l’artista britannico che negandosi all’identificazione di sé, stupisce ogni volta, lasciando a sorpresa il suo segno critico, inconfondibile, ironico, tenero e graffiante, irridendo addirittura il mondo del mercato dell’arte, con la provocazione dell’autodistruzione di una sua opera appena battuta all’asta per una cifra ‘indecorosa’?

FIG. 1, Bansky, Game changer, Supereroi, 2020

E’ un mondo complesso e che meriterebbe molti approfondimenti.

Questa volta mi limito a presentarvi qualche artista che lascia il segno nelle strade fiorentine. Dal 2005 il francese Clet Abraham ‘prende di mira’ i segnali stradali cittadini, applicandovi stikers con l’intento di apportare all’invasione dei cartelli stradali un suo personale messaggio provocatorio

Blub è invece un artista riconoscibilissimo per far indossare una maschera subacquea a personaggi dell’arte e della cultura molto noti perché, pensa, “l’arte sa nuotare”, offrendo una sorta di salvataggio simbolico. E così spiega la sua scelta: “Dall’elemento acqua nasce la vita, il lato nascosto della materia, l’emozione positiva è l’accettazione e l’accoglienza. Quando sei sott’acqua non c’è peso, il tempo si ferma, i pensieri se ne vanno e fluttui in simbiosi con questo elemento, in un’altra dimensione. In questa dimensione sospesa ripropongo i personaggi che con il loro esempio hanno lasciato un segno di grandezza che sopravvive ancora oggi. Senza tempo.

Trovo molto interessante anche il lavoro di quattro street artist, Millo, James Boy, Ache 77 e Exit/Enter, che hanno creato sulle pareti della struttura nel centro di Scandicci del Ginger, alla periferia di Firenze, un’opera che racconta, con tecniche diverse e espressioni molto personali, “la gioia dello stare insieme e il rispetto delle diversità, per una città aperta e inclusiva”

FIGG. 6,7, Spazio Ginger, Scandicci, Firenze, 2020

A me piace questo modo di creare relazione, perché aggancia il pensiero, la riflessione, la partecipazione.

Giovanna Giusti (18/01/2021)

M come Memoria dell’inferno disegnato da Aldo Carpi

27 gennaio 2021. ‘Giorno della memoria’, a perenne, indelebile ricordo dell’atroce, inimmaginabile tragedia consumata nei campi di sterminio ad opera della follia nazista. Scelgo la documentazione lasciata da un artista milanese, Aldo Carpi (1886 – 1973), per ricordare come proprio l’arte abbia aiutato questo pittore, scultore e docente a sopravvivere per un anno, nel 1944. nei lager di Mauthausen e Gusen, dove era stato deportato. Il nonno, di famiglia ebraica si era convertito al cattolicesimo; Aldo, artista apprezzato e vincitore della cattedra di pittura all’Accademia di Brera a Milano, era stato vittima dell’invidia di un collega che non ‘apprezzando’ l’aiuto offerto ad una studentessa ebrea, lo aveva denunciato, destinandolo all’arresto dei fascisti e inevitabilmente alla deportazione.

Fu l’arte a salvarlo, perché godendo di una sorta di protezione di due medici nazisti amanti dell’arte, che gli avevano procurato  materiali scarsi e non di qualità, era riuscito a dipingere in un anno di lager settantaquattro quadri, fiori, paesaggi e molti ritratti per gli ufficiali nazisti, ‘ripagato’ con una zuppa supplementare che divideva quando poteva con altri deportati. Altro non sarebbe stato possibile, visto il divieto, pena la morte, di disegnare o scrivere. Ma Aldo Carpi, sfidando il divieto, aveva annotato con una grafia minuta, su foglietti di fortuna, celati prima nel pigiama e poi in un nascondiglio nel campo, pensieri che formavano quasi un diario (FIG. 1) rivolto alla moglie Maria.

FIG. 1 Aldo Carpi, due carte con ritratti

Ha riversato in questi brandelli di carte, documentazione rarissima trascritta in seguito dalla figlia, i giorni terribili con tutto quello di cui era stato testimone, il segno e la voce di un dolore estremo, di un inferno raccapricciante più di quello dantesco. Come molti altri sopravvissuti, solo dopo la liberazione, è riuscito a disegnare le scene strazianti viste e vissute al campo.

Anche uno dei sei figli venne deportato e ucciso a soli diciassette anni. Un altro figlio, Pinin, che ha curato le sue memorie, ricorda che appena tornato dal lager Carpi parlò per due giornate ininterrottamente, chiudendosi poi per lunghi periodi nel dolore che gli rendeva difficile parlare e anche solo maneggiare quei foglietti.

A Milano tornò a dipingere e venne nominato direttore dell’Accademia di Brera, considerata il tempio dell’arte, avendo come allievi pittori eccellenti, tra cui Cassinari, Morlotti, Dova, Crippa, Treccani, Funi.

Come insegna lo sguardo coraggioso di una giovane vittima, desiderosa di spiccare il volo come questa farfalla (FIG. 5), l’umanità, serbando memoria del passato anche atroce, trova sempre la forza di guardare a un mondo migliore.

FIG. 5, Doris Weiserova, 1932 – 1944

Giovanna Giusti (28/01/2021)

C come Castellani Enrico e D come Dante

Sfogliavo questa mattina un bel catalogo (Figurare la parola. Editoria e avanguardie artistiche del Novecento nel Fondo Bertini, mostra a cura di Lucia Chimirri, Biblioteca Nazionale Centrale Firenze, 2003-2004), anche perché i libri associati ai linguaggi delle avanguardie artistiche (“libri d’artista”), che hanno la particolarità di essere per lo più ‘pezzi unici’ o realizzati in pochissimi esemplari numerati, mi hanno sempre interessato.

Tra i tanti mi sono soffermata su quello di Enrico Castellani, intitolato Dante Alighieri. Ho pensato a voi ed eccomi a illustrarvi questo affascinante campo dell’arte con una collezione che attraversa le tendenze e i manifesti del secolo XX. Cosa è il Fondo Bertini? E’ una tra le più importanti raccolte pubbliche di edizioni d’arte contemporanee, acquistata nel 2000 dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali dal collezionista Loriano Bertini per essere conservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; si compone di ben 4500 opere, raccolte durante trenta anni di appassionate ricerche, e che consistono in testi illustrati o scritti da artisti quali Picasso, Matisse, Klee, Chagall, Dalì, De Chirico, Morandi, Carrà, per ricordare i più celebri.

Enrico Castellani (1913 – 2017) è un artista che non ha la notorietà di Picasso o Dalì, ma, credetemi, ha una sua posizione di primissimo piano nell’arte contemporanea, anche internazionale e lo troverete esposto nei più importanti musei.  Oggi mi sembra di fare quasi una provocazione presentandolo nel nostro Blog, ma ritengo che anche la sensibilità per l’arte non figurativa abbia molti cultori appassionati, desiderosi di comprenderla, perché amano esplorare diversi impatti emozionali.

Il titolo dell’opera di Castellani: “DANTE ALIGHIERI. Io son venuto al punto de la rota”, 1993. Il volume contiene quattro superfici bianche eseguite a rilievo calcografico, realizzate a commento di quattro ‘rime petrose’ di Dante, ovvero “le rime per la donna Pietra, quattro canzoni composte da Dante tra il 1296 e il 1298, nelle quali ricorre spesso la parola petra, assunta a simbolo della durezza e della insensibilità della donna amata.” (Treccani. Vocabolario).

Nelle rime scorrono congiunzioni astrali, stagioni, sentimenti insieme alla dedizione e alla rustica realtà della resistenza della donna pietra. Trovo molto poetico, altrettanto, il racconto che ne ha tratto Castellani con il suo puro libro minimalista, estroflettendo sulla tela la sua meditazione sulle rime del sommo poeta.

Castellani (FIG. 3), dopo gli studi di scultura e architettura in Belgio, condivide a Milano un nuovo clima culturale con artisti che cercavano vie espressive alternative e già nel 1959 crea la sua prima superficie a rilievo, che diverrà la sua strada poetica di ricerca: personali ritmiche estroflessioni sulla tela prendono forma con l’utilizzo di chiodi o centine inseriti sul retro della tela.

La sua rigorosa ‘ripetizione differente’, come è stata definita, studia con coerenza la mobilità dello spazio, delle superfici, l’incidenza della luce che anima i pieni e i vuoti, con un ritmo da cercare e rivelare. Personalità schiva, mi ricorda un altro grandissimo artista, Giorgio Morandi (FIG. 4), che su percorsi espressivi diversi, attraverso lo studio della forma, scava con rigore la poetica del tempo e dello spazio.

Giovanna Giusti (22/02/2021)

D come Dante di Bronzino

Siamo molto prossimi al 25 marzo, Dantedì, giorno in cui gli studiosi riconoscono l’inizio del viaggio letterario di Dante nell’aldilà, e inizio delle celebrazioni di questo anno speciale tutto dedicato al sommo poeta. Sarà anche una interessante coincidenza con l’anno fiorentino (detto anche dell’Incarnazione), che fino al 1749 iniziava proprio il 25 marzo, giorno del concepimento di Gesù, ovvero dell’Annunciazione. Mi ricordo bene come consultando documenti antichi si dovesse sempre stare molto attenti a calcolare le date giuste … E così vi ho rivelato una nuova particolarità nella storia della mia Firenze …

In Palazzo Vecchio, proprio nel solenne immenso Salone dei Cinquecento, è esposto da pochi giorni un Ritratto allegorico di Dante, dipinto tra il 1532 e il 1533 da Agnolo di Cosimo, detto il Bronzino (del colore del bronzo) (Firenze 1503 – 1572), che merita di esser descritto e ammirato (FIG. 1). Merita anche di essere sottolineato l’intento del Comune di Firenze di esporre l’opera in un luogo ufficiale e così prestigioso, quasi una sorta di riconciliazione con la città amaramente amata da Dante, dalla quale era stato esiliato e condannato a morte nel 1302.

Fig.1 Ritratto allegorico di Dante

Il grande quadro, una lunetta, ha una storia molto interessante, sia in relazione al personaggio che dette l’incarico al Bronzino di dipingerlo, sia per tutto quanto Dante ci indica nei gesti e con i dettagli a lui d’intorno.

Dobbiamo immaginare, per prima cosa, questo dipinto come parte di una triade di sommi letterati, insieme al ritratto di Petrarca e di Boccaccio, che purtroppo non ci sono pervenuti, oppure, speriamo, non sono ancora stati individuati. L’intellettuale e ricco banchiere  fiorentino Bartolomeo Bettini, come ricorda Giorgio Vasari nella vita del Bronzino e in quella del Pontormo, aveva commissionato i tre ritratti per collocarli nelle lunette di una stanza della sua casa, dando incarichi anche a Pontormo e a Michelangelo (una tavola con Venere e Cupido su cartone di Michelangelo), intendendo dedicare quella sua camera al tema dell’amore, in tutte le sue accezioni, come indica Antonio Natali, profondo conoscitore di questi grandi artisti. Dante mostra aperta la Commedia all’inizio del canto XXV del Paradiso, dove fa riferimento all’esilio e alla speranza. Infatti intorno a Dante si riconoscono i tre luoghi delle cantiche della Commedia: le fiamme in basso a sinistra evocano l’Inferno e all’opposto la grande luce simboleggia il Paradiso, mentre la montagna il Purgatorio. Nella parte mediana a sinistra s’intravedono la cupola e il campanile di Santa Maria del Fiore, che riconducono a Firenze. Poiché anche il Bettini fu esiliato si può leggere il bel dipinto come una dedica sia all’esilio che all’amore, ‘figurato nel canto XXV del Purgatorio nell’anello di fiamme vicino alla sommità del monte piramidale, ch’è quanto poi il Dante di Agnolo par guardare inclinando il capo alla sua sinistra” (Antonio Natali).

Giovanna Giusti (23/03/2021)